giovedì 22 novembre 2012

I fratelli Calvi

Guerrieri alpini: i fratelli Calvi
di Alfredo Patroni, Agnelli, Milano, 1940


La conquista dell'Adamello - il diario del capitano Nino Calvi
di Marco Cimmino (cur.), LEG, Gorizia, 2009


A distanza ormai di un secolo, i luoghi della Grande Guerra si sono ingentiliti, quando non sono stati risucchiati da angoscianti periferie: il Giro della Grande Guerra si percorre con gli sci, tra una sciovia ed un bombardino (che non è arma di offesa, a parte forse per il fegato), il sacrario del Tonale è pacificamente assediato da auto parcheggiate e funge purtroppo da area pic-nic, e così via. Ma le tracce permangono; e proprio le mie prime uscite sciistiche al passo del Tonale mi avevano fatto notare i rotoli di filo spinato, i resti dei camminamenti e delle trincee, mi avevano fatto scoprire il Castellaccio, i cui baraccamenti avevo osservato in una vecchia foto di famiglia, fino allora per me enigmatica.
Leggendo della guerra bianca in Adamello non potevo non giungere ai fratelli Calvi. Forse qualcuno tra i miei concittadini, sollevando casualmente lo sguardo dal telefonino durante una vasca nel centro della Città Bassa, avrà notato il monumento a loro dedicato (un pilone portabandiera non particolarmente bello; vedi foto), ma credo che pochissimi ne sappiano qualcosa. Eppure i Calvi sono stati degli eroi, qualcosa di cui è difficile parlare oggi senza scivolare nella retorica dei valori. Quattro fratelli nati a Piazza Brembana, un paese della valle omonima, tutti arruolati negli Alpini; l'Adamello e l'Ortigara i teatri delle loro imprese. Due moriranno in guerra, uno nel 1919 nell'epidemia di febbre spagnola. Resta Nino, il maggiore dei quattro, il personaggio più affascinante, una vita quasi da film hollywoodiano.
Nino Calvi è il prototipo dell'eroe: nato nel 1887, capitano degli Alpini al Rif. Garibaldi in Adamello, organizza e conduce la campagna dell'aprile-maggio 1916 che porterà alla conquista dei ghiacciai del Mandrone e della Lobbia e delle linee di cresta Lobbia - Cresta croce - Dosson di Genova e Crozzon di Fargorida - Crozzon di Lares. Un'impresa che ha dell'incredibile per le quote a cui è condotta (tutte sopra i 3000 m) e per lo "stile": Calvi, in antitesi con la cultura militare italiana dell'epoca, capisce che in alta montagna non servono assalti in massa, ma piccoli gruppi di scialpinisti-soldati che possano cogliere il nemico di sorpresa attaccandolo su più fronti, e i fatti gli danno ragione: la conquista delle Lobbie e di Cresta Croce da parte dei diavoli bergamaschi scatenati sull’Adamello, nella tempesta e nella bufera glaciale (cit. Gadda) costa pochissimi morti (9), ed è anche merito del fratello Attilio che comanda una delle colonne di attacco. Quando il pluridecorato Giordana vorrà tentare l'attacco frontale al passo di Fargorida il 30 maggio, in pieno giorno, nella neve molle che ostacola i movimenti, ne risulterà un massacro e saranno ancora manovre di piccoli gruppi che daranno la vittoria finale agli italiani.
Insofferente della burocrazia e delle formalità, senza mezze parole anche con i superiori quando si tratta di difendere i "suoi" soldati, Nino Calvi non riceverà mai alcuna promozione - nonostante le promesse - per le innumerevoli imprese vittoriose (altro es., il Corno di Cavento). Vedrà cadere il fratello Attilio a poca distanza da sé durante l'assalto al Passo di Fargorida (da leggere qui a pag. 41 la morte di Attilio Calvi nel Castello di Udine di Gadda), sentirà della morte di Santino sull'Ortigara, nell'unica conquista italiana del 10 giugno 1917 nell'assurda Operazione K (si veda ad esempio il libro di Pieropan Ortigara 1917: il sacrificio della sesta armata), e perderà Giannino nel 1919, dopo che i due hanno combattuto insieme sul Grappa.
Dopo la guerra, Nino Calvi, solo e deluso, si dedica all'amore che gli è rimasto: la montagna (coltivato invero anche durante la guerra, con numerose prime ascensioni). Nel settembre 1920 torna in Adamello e sale in solitaria la parete nord: non ritornerà. Il corpo sarà ritrovato alla base tre giorni dopo, forse travolto da una valanga. Non è forse un finale filmico? In quale altra montagna Nino avrebbe potuto trovare requie?

Patroni ricostruisce le gesta dei fratelli Calvi, suoi compagni di lotta in Adamello, senza indugiare in analisi critiche e collo stile retorico dell'epoca (molta sovrapposizione col libro di Cavaciocchi nella descrizione della battaglia, ma è forse inevitabile); libro nondimeno interessante per i numerosi episodi riportati e per gli estratti dell'agenda di Attilio Calvi, difficilmente reperibile. Bellissimo invece il diario di Nino, scritto con bella calligrafia d'epoca e corredato di diverse fotografie, cartine e schizzi, riproposto per la prima volta in copia anastatica nel libro di Cimmino, che antepone alcuni capitoli introduttivi e ben evidenzia quale doveva essere lo stato d'animo, l'amarezza di questo "capitano in congedo" (per citare ancora Gadda) mentre lo scriveva a guerra finita.

Ora i quattro fratelli riposano nel loro paese natale, ricordati solo da qualche appassionato di vicende di un secolo fa.

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